giovedì 28 novembre 2013

"La Notte Brava", regia di M. Bolognini. Una tormentata e infinita nottata Pasoliniana...

Credo, in vita mia, di non aver mai avuto una notte frastornata e tormentata come Ruggeretto, Bella Bella e Scintillone; protagonisti di questa ingente e mirabile pellicola anni ’60.
Tre ragazzi, tre caratteri, un solo obiettivo: passare una notte nel balocco più totale. I tre, appartenenti alla periferia romana, bivaccano tra infrazioni alla legge e simpatiche prostitute, lottizzando i loro introiti tra locali notturni, alla moda e villone di ricchi, per poi tornare al punto di partenza in una solinga e abbandonata alba mattinale. Una Roma truce, fuligginosa e intensa fa da sfondo alla pellicola, insieme all’umore amaro dei personaggi che in qualche modo produce un impulsivo modello di neorealismo puro (o quasi). La città è molto importante in questo film, essa viene caratterizzata da luoghi sciagurati che sottolineano appunto una Roma guitta (baracche di Tor Pignattara, prostitute in Via Alessandrino, Pigneto, Mandrione e villone isolate fuori città). Bolognini ha condotto questo viaggio urbano in maniera grandiosa e solerte, sottolineando appunto i caratteri psicologici dei personaggi, i quali senza scopi e senza mete, l’unico modo per soddisfare le loro esigenze, è spendere il denaro.







"Perché a noi che ce manca? Semo giovani, pieni de salute. E poi voi mettete come se divertimo noi: ce basta una notte per un anno; domani magari ce toccherà fare capriole pe cenà, ma intanto stasera ce semo divertiti… per domani er Signore provede!" Rossana la prostituta.






La mano di Pasolini, nel film, costruisce una trama identificabile attraverso aspetti psicologici dei personaggi già accarezzati in varie pellicole del cinema italiano. Qui si oscilla da “La dolce vita” di Fellini ad “Accattone” di Pasolini. Personalmente lo considero un grande capolavoro, peccato però che come molte pellicole, è finito nel dimenticatoio, oscurandosi automaticamente in qualche archivio/armadio mediatico.
Tomas Milian e Franco Interlenghi strepitosissimi. 





sabato 23 novembre 2013

"In Nome Del Popolo Italiano", regia di D. Risi. Ritratto accigliatosociopolitico dell'Italia anni '70.

Io rifiuto il piattume delle terminologie indifferenziate. Più parole, più idee. Sì! Io amo il linguaggio aderenziale e desemplicizzato.”

Quando sentii per la prima volta questa battuta, rimasi di stucco. Ero sul divano, fuori pioveva, accarezzavo la mia barba e fumavo il mio solito Toscanello al caffè, molto da pensatore in prima linea. Va beh, dettagli melensi a parte, il primo pensiero che mi venne in mente fu:
<<Ecco, questo non è un film, questo è IL FILM!>>.

Probabilmente la frase dice poco, ma è come viene argomentata dall’ingegnere Lorenzo Santenocito (un magistrale Gassman), e lo sguardo con il quale il buon giudice Mariano Bonifazi (un maestrevole Tognazzi) lo osserva che fa di essa una pennellata su un dipinto di Monet.
Attonito e spossato, continuai ad ascoltare quel dialogo fra i due protagonisti, due pietre miliari messe a confronto in questo capolavoro firmato
Dino Risi.







La pellicola nasce nel 1971 dalle penne stilografiche di Age e Scarpelli. La direzione invece fu affidata al grande Risi, appunto. Il film si svolge su due piani sociali. Da una parte c’è il magistrato integerrimo, ostinato e fermo a far rispettare le leggi, ovunque sia, spolverando tutti coloro che ostacolino la sua persona; dall’altra c’è il modello d'industriale benestante: bello, alla moda e soprattutto ricco. Gran qualunquista e menefreghista, fa un uso spropositato di avvocati imponenti e amicizie molto in alto. Un giorno però l’industriale si trova, senza una colpa vera e propria, frammisto nella morte di una prostituta di lusso, che era servita a rallegrare i suoi soci d’affari in molti progetti. Vorrebbe evadere da questo equivoco spiacevole, ma, di fronte a lui, e soprattutto contro di lui, appare il magistrato che, sospettando della sua colpevolezza, lo tampina sino all’inverosimile; fino al momento in cui, pur essendoci le prove della sua assoluta innocenza, le ignora per poterlo condannare e sbaragliare definitivamente.

Una delle mie pellicole preferite. Già negli anni ’70 si intravedeva qualcosa di torvo, per poi lasciar tutto alla realtà vent’anni dopo (con Tangentopoli). Ci fu una grande riflessione sulla grandezza del potere discrezionale di cui i magistrati disponevano, e di come avrebbero potuto abusare ai sensi di giustizia, per giustificare appunto, l’utilizzo di mezzi conformisti.


Unico particolare spiacevole, il DVD. Da denuncia! Stampato MALISSIMO!
Povere pellicole...






venerdì 22 novembre 2013

"Lo Sceicco Bianco", regia di F. Fellini. Carlo Verdone presenta lapellicola al CinemaAmericaOkkupato.


Sabato 16 Novembre 2013.

Ore 19:00.
Ho appena parcheggiato la moto nella strada adiacente il cinema America e sono leggermente, per non dire enormemente, emozionato. Svolto l'angolo insieme al mio amico e il mio sguardo s'impelaga tra gruppi di persone sparse qua e là, quasi a formare un assedio stile impero. Tutti attendono Lui, il Mito. Io sono sempre più emozionato, ancora non ci credo che lo rivedrò per l'ennesima volta. Prendo un caffè al bar di fronte e mi accendo un sigaro, forse per allentare la tensione. 
Dopo un leggero caos in entrata, ci sistemiamo e posizioniamo con molta trepidazione. Alcuni bevono vino, altri birra, altri fumano come disperati. Si è creato un clima da assemblea d'istituto, e tutti attendono il grande rappresentante. 
Ad un certo punto il boato. "DAJE CARLO!" "'A MITICO!!!". Si scatena il putiferio, applausi come scrosci d'acqua, flash scatenati, enfasi alle stelle. Dallo zaino tiro fuori la mia inseparabile Nikon e faccio partire una raffica di scatti indefiniti. Mi perdo nelle varie inquadrature reali mentre la voce di Carletto mi fa da colonna sonora per tutto il tempo. Con la sua unica e incomparabile grandiosità, ha introdotto una delle pietre miliari del nostro amato cinema; "Lo sceicco bianco".
Personalmente ritengo importantissima questa prima opera Felliniana ( in Luci del varietà condivise la regia insieme a Lattuada, e quindi di suo suo, non vi era ancora nulla). All'epoca non ottenne molto successo, i critici accusarono Fellini di osservare in maniera distesa, beata e quasi sorniona, la triste realtà dei due sposini in viaggio di nozze a Roma. Il film sembrava un filmetto, diciamocelo senza buonismo, con protagonista il cavilloso e pedante Ivan Cavalli, interpretato sorprendentemente da Leopoldo Trieste. Nemmeno l'immenso Albertone figurò in maniera positiva, sempre secondo loro. Bah, contenti loro. 
Detto questo, continuerò a considerarlo uno dei più curiosi e magici film di Fellini.





giovedì 21 novembre 2013

"Lo Scapolo", regia di A. Pietrangeli.

Single, celibe, casanova, viveur e conquistatore. Così si presenta l'aspetto psicologico e mattatore del ragioner Paolo Anselmi (uno strepitoso Alberto Sordi in ascesa). Un predatore di una lucidità unica, quasi spietata, sempre fermo, ostinato e cocciuto sul suo irrevocabile pensiero: Rimanere scapolo a vita. Purtroppo però la vita riserva sempre qualche spiacevole sorpresa, e nel suo caso, la solitudine si attanaglierà al lui in una triste notte invernale, proprio mentre è nel letto con un febbrone da cavallo. 
Pietrangeli ha voluto sottolineare il modus operandi del latin lover di metà anni '50. L'operazione andò a buon fine, tanto che al valoroso Albertone fu consegnato il Nastro d'Argento 1956. Nel cast ci sono anche: Nino Manfredi e Sandra Milo. Mitica pellicola che fa parte dell'immensa cornice cinematografica del nostro Paese. :)








Shhhh! Motore..Azione!!!

Quando mi dicono: <<A Pier, parlace de quer firm, daje!>>, mi sento come se avessi appena vinto un premio alla carriera importantissimo. Come se in quel momento avessi davanti agli occhi l'intera platea di Venezia! Beh, quando si hanno amici così mitici che non fanno altro che tifare per te, puoi solo amarli e volergli bene, sempre di più. :) Oggi apro questo Blog, nella speranza di condividere con tutti voi il mio amore per il cinema, in particolare per le nostre grandi pellicole. Pezzi di storia e di vita mescolati all'interno della celluloide, sequenze rimaste storiche, impresse nelle nostre menti e sopratutto nei nostri cuori. 

Condividerò sogni, pensieri e pareri sui titoli più grandi e quelli meno conosciuti. Ripercorreremo critiche e opinioni che hanno fatto discutere. I grandi registi, oscilleremo da Mattoli a Fellini, da Scola a Montaldo e così via.. :)
Non so come andrà a finire, se questo viaggio proseguirà, se andrà bene o male, so solo che ora mi va di scrivere, e nessuno riuscirà a togliermi la penna, anzi, la tastiera. 
Buon viaggio! :)





martedì 19 novembre 2013

"F" come Federico. (O meglio: Sogno di una notte di mezzo inverno.)

<<Fa freddo, tanto freddo. Ho deciso di prendere il treno e di fare un giro sulla riviera Romagnola. Con me ci son sempre: la mia Nikon e i miei sigari al caffè.
Mi trovo seduto su una panchina posta lungo un grande viale alberato, colmo di gente. Ci son molti negozi, bar e ristoranti. La mia curiosità viene rapita da un signore sulla settantina; robusto, capelli bianchi, occhiali da vista, sciarpa rossa e cappello nero da investigatore di fumetti noir. 
Passeggia avanti e indietro osservando ripetutamente i gesti e i volti delle persone. Ogni tanto si accarezza il mento e alza il sopracciglio, quasi come se scrutasse l'intera sequenza davanti ai suoi occhi. Finisco di mangiare l'ottima piadina e decido di seguirlo. Dopo un centinaio di metri si gira di scatto, mi guarda e inizia a ridere, sempre di più. Con un piccolo ghigno nato sul mio volto, gli chiedo il perché di questa risata. Con una vocina esile e un lieve accento del posto, mi risponde che visti così, io e lui sembriamo usciti dal fumetto "Marco Aurelio", suo primo lavoro artistico.
Quell'uomo si chiama Federico, Federico Fellini.>>